di Massimo De Maio,
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Ero piccolissimo quando mio nonno fornaio mi ha insegnato che il pane non va mai buttato. Ci fai le polpette, il pan grattato, lo metti a pezzi nel latte o nelle zuppe ma non lo getti mai nel secchio della spazzatura.
L'infanzia passata a giocare nel panificio, sempre sporco di farina, mi ha lasciato il ricordo della fatica fatta dal panettiere per sfornare una pagnotta calda e fragrante. Di pomeriggio, in casa dei nonni vigeva il grande silenzio come nel film di Philip Gröning sulla vita monastica dei certosini nella Grande Chartreuse sulle Alpi francesi. Di giorno, il nonno e lo zio dormivano perché di notte lavoravano al forno. Non bisognava disturbarli. O rispettavo la regola certosina del silenzio oppure andavo a giocare in cortile con gli altri bambini. “Sciò, sciò” mi cacciavano di casa con lo stesso verso che facevano alle galline quando entravano nel pollaio a prendere le uova fresche: “sciò, sciò”. E io scappavo. Come le galline a cui davano parte del pane che avanzava.
Da sempre per me il rispetto per il pane è il rispetto verso tutti gli uomini e tutte le donne che hanno lavorato per farlo arrivare sulla mia tavola. Dal contadino che ha coltivato il grano al mugnaio che lo ha macinato, fino al fornaio che ha trasformato la farina in pagnotte.
La formazione cristiana, che mi ha accompagnato dalla scuola elementare delle suore carmelitane all'Università cattolica, ha fatto il resto, insegnandomi che il pane rappresenta nella liturgia eucaristica il corpo del Christós, l'unto dal Signore. Il pane su cui si fa il segno della croce. Mio nonno il segno della croce lo faceva con un coltello incidendo la pagnotta prima di infornarla. Il pane simbolo del sacrificio, del sacrum facere, del rendere sacro un momento, un gesto, un lavoro recuperando quella spiritualità che abbiamo perso quando siamo passati dai campi aperti a contatto con il sole e con il vento al chiuso delle fabbriche e degli uffici.
Forse è per questo retroterra culturale e spirituale che oggi in casa conserviamo con cura un ricettario che mi regalò un amico editore di Firenze con decine di suggerimenti per riportare in tavola il pane raffermo.