di Giorgio Nebbia
Quarant’anni fa, nel 1972, appariva la traduzione italiana di un libro intitolato “Il cerchio da chiudere”, del biologo americano Barry Commoner, uno studioso che era stato attivo nella denuncia dei danni ecologici e umani derivanti dalle scorie radioattive delle esplosioni nucleari dell’atmosfera e nei movimenti che portarono alla cessazione di tali esplosioni a partire dal 1962. Commoner aveva pubblicato vari libri e articoli per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle conseguenze negative di molte innovazioni tecnico-scientifiche, e sui rapporti fra scienza e società. Commoner spiegava che la natura opera secondo cicli chiusi; le scorie della vita animale e vegetale diventano fonti di altra vita; la tecnica umana invece produce scorie che sono estranee alla natura e fonti di inquinamento. La salvezza andava perciò cercata nello sforzo di “chiudere il ciclo” prodotti-natura, come diceva il titolo del libro citato all’inizio.
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