Circa trenta sono i milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani che ogni anno in Italia escono dalle abitazioni, dagli uffici, dai negozi, dai ristoranti; circa cento sono i milioni di tonnellate di rifiuti solidi complessivi comprendenti, oltre i trenta precedenti, scarti di lavorazioni agricole e industriali, residui di demolizione di edifici e strade, rottami metallici, macchinari usati, elettrodomestici, mobili, eccetera.
Come sbarazzarsi di questi materiali che aumentano, di peso e di volume, ogni anno ? Le proposte sono innumerevoli, da quelle classiche delle discariche e degli inceneritori, eufemisticamente chiamati ora termovalorizzatori, ai dissolutori o dissociatori “molecolari”, agli impianti di pirolisi, alle torce al plasma, ai sistemi per il trattamento meccanico biologico, e tanti altri, e ogni proponente spera di combinare qualche affare con gli enti locali o di conquistare qualche momento di visibilità in un tempo di grande disordine e incertezza tecnico-scientifica.
La soluzione più favorita dalle imprese e da molte pubbliche amministrazioni è l’incenerimento consistente nel bruciare i rifiuti, in genere pretrattati in qualche modo, per ridurne il volume e produrre calore, facilmente trasformabile in elettricità. Alla fine si formano gas inquinanti che finiscono nell’atmosfera e ceneri che devono essere sepolte in qualche discarica. Il grande amore per gli inceneritori/termovalorizzatori sta nel fatto che una controversa legge italiana permette a chi produce elettricità dai rifiuti di ricevere dei contributi statali (si calcola due miliardi di euro all’anno).
Tale legge è basata sulla distorsione di un principio giusto: lo stato prevede, infatti, in accordo anche con la normativa europea, che si debba diminuire l’uso dei combustibili fossili, come il petrolio, il carbone e il gas naturale, non rinnovabili, esauribili e responsabili dell’immissione nell’atmosfera dell’anidride carbonica, il principale gas responsabile dell’”effetto serra” e dei i mutamenti climatici. Al posto dei combustibili fossili dovrebbero essere utilizzate, in quantità crescente, le fonti energetiche rinnovabili rese disponibili, ogni anno, dal Sole. Fra di queste vi sono i prodotti e sottoprodotti agricoli e forestali, chiamati genericamente biomasse, che, se bruciati, forniscono calore senza contribuire all’effetto serra; infatti l’anidride carbonica che si libera dalla combustione delle biomasse è la stessa che gli stessi prodotti agricoli e forestali hanno “portato via”, pochi mesi o pochi anni prima, dall’atmosfera durante la fotosintesi che li ha generati.
Le fonti di energia rinnovabili in genere, a parità di energia prodotta, costano di più di quelle fossili; lo stato assicura perciò un premio monetario a chi sviluppa e produce e usa impianti che producono calore o elettricità dalle fonti rinnovabili. E, a mio parere, è anche giusto che ciascuno di noi paghi una piccola imposta per il diritto ad essere “meno inquinato” e a dipendere di meno dai combustibili fossili scarsi ed esauribili.
I fabbricanti, venditori e utilizzatori di inceneritori dei rifiuti, per poter godere anche loro delle sovvenzioni statali previste per le fonti energetiche rinnovabili, sono riusciti a far inserire nella legge sul finanziamenti delle fonti rinnovabili una piccola eresia merceologica, per cui i rifiuti urbani sono stati fatti diventare “biomasse”. Il relativo decreto, infatti, dice che “per biomasse si intende la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura e della silvicoltura e dalle industrie connesse” --- e questo è giusto --- “nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani” --- come sarebbero i rifiuti alimentari e quelli dei mercati “e, anche tramite il ricorso a misure promozionali, la frazione non biodegradabile ed i combustibili derivati dai rifiuti”, cioè soprattutto plastica, gomma e altri materiali che sono tutto fuorché “biomasse” ma che hanno un buon potere calorifico e quindi bruciano bene e generano il calore e l’elettricità che sono ammessi alle sovvenzioni statali.
Con questo trucco linguistico " rifiuti uguale a biomasse "gli inceneritori, pur inquinando, sono premiati con soldi pubblici che i cittadini pagano … per essere inquinati. Utili informazioni su tale anomalia italiana si trovano nel recente libro di Marino Ruzzenenti, “L’Italia sotto i rifiuti”, pubblicato da Jacabook. La legge italiana è in contrasto con le direttive europee e l’Italia è stata denunciata per questa violazione e dovrà eliminare le sovvenzioni ai sistemi che producono elettricità dai rifiuti. Lo hanno chiesto a gran voce le centinaia di gruppi che protestano contro gli inceneritori, in una grande manifestazione nazionale il 6 settembre scorso. L’anomalia legislativa italiana ha danneggiato l’agricoltura che avrebbe potuto utilizzare le sovvenzioni statali per produrre biomasse veramente adatte come fonti di energia (comprese le forme utilizzabili come carburanti per autoveicoli) e soprattutto ha rallentato lo sviluppo di tecniche appropriate per una vera soluzione del problema dei rifiuti.
Tale soluzione richiede una attenta ed efficace raccolta separata delle frazioni di rifiuti più facilmente riciclabili e riutilizzabili; il vetro, la carta, la plastica, le lattine di ferro e alluminio, recuperati dai rifiuti, possono tornare a “vivere” come nuovo vetro, carta, plastica, metalli soltanto se non sono mescolati e contaminati con altri tipi di rifiuti; ciò richiede un po’ più di attenzione e di impegno civile da parte dei cittadini. La seconda via per far diminuire la massa dei rifiuti consiste nella progettazione e nella fabbricazione delle merci e degli oggetti in modo che durino più a lungo e siano più facilmente riciclabili, e ciò richiede innovazioni e invenzioni e crea nuove occasioni di attività produttive e di occupazione.
Come sbarazzarsi di questi materiali che aumentano, di peso e di volume, ogni anno ? Le proposte sono innumerevoli, da quelle classiche delle discariche e degli inceneritori, eufemisticamente chiamati ora termovalorizzatori, ai dissolutori o dissociatori “molecolari”, agli impianti di pirolisi, alle torce al plasma, ai sistemi per il trattamento meccanico biologico, e tanti altri, e ogni proponente spera di combinare qualche affare con gli enti locali o di conquistare qualche momento di visibilità in un tempo di grande disordine e incertezza tecnico-scientifica.
La soluzione più favorita dalle imprese e da molte pubbliche amministrazioni è l’incenerimento consistente nel bruciare i rifiuti, in genere pretrattati in qualche modo, per ridurne il volume e produrre calore, facilmente trasformabile in elettricità. Alla fine si formano gas inquinanti che finiscono nell’atmosfera e ceneri che devono essere sepolte in qualche discarica. Il grande amore per gli inceneritori/termovalorizzatori sta nel fatto che una controversa legge italiana permette a chi produce elettricità dai rifiuti di ricevere dei contributi statali (si calcola due miliardi di euro all’anno).
Tale legge è basata sulla distorsione di un principio giusto: lo stato prevede, infatti, in accordo anche con la normativa europea, che si debba diminuire l’uso dei combustibili fossili, come il petrolio, il carbone e il gas naturale, non rinnovabili, esauribili e responsabili dell’immissione nell’atmosfera dell’anidride carbonica, il principale gas responsabile dell’”effetto serra” e dei i mutamenti climatici. Al posto dei combustibili fossili dovrebbero essere utilizzate, in quantità crescente, le fonti energetiche rinnovabili rese disponibili, ogni anno, dal Sole. Fra di queste vi sono i prodotti e sottoprodotti agricoli e forestali, chiamati genericamente biomasse, che, se bruciati, forniscono calore senza contribuire all’effetto serra; infatti l’anidride carbonica che si libera dalla combustione delle biomasse è la stessa che gli stessi prodotti agricoli e forestali hanno “portato via”, pochi mesi o pochi anni prima, dall’atmosfera durante la fotosintesi che li ha generati.
Le fonti di energia rinnovabili in genere, a parità di energia prodotta, costano di più di quelle fossili; lo stato assicura perciò un premio monetario a chi sviluppa e produce e usa impianti che producono calore o elettricità dalle fonti rinnovabili. E, a mio parere, è anche giusto che ciascuno di noi paghi una piccola imposta per il diritto ad essere “meno inquinato” e a dipendere di meno dai combustibili fossili scarsi ed esauribili.
I fabbricanti, venditori e utilizzatori di inceneritori dei rifiuti, per poter godere anche loro delle sovvenzioni statali previste per le fonti energetiche rinnovabili, sono riusciti a far inserire nella legge sul finanziamenti delle fonti rinnovabili una piccola eresia merceologica, per cui i rifiuti urbani sono stati fatti diventare “biomasse”. Il relativo decreto, infatti, dice che “per biomasse si intende la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura e della silvicoltura e dalle industrie connesse” --- e questo è giusto --- “nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani” --- come sarebbero i rifiuti alimentari e quelli dei mercati “e, anche tramite il ricorso a misure promozionali, la frazione non biodegradabile ed i combustibili derivati dai rifiuti”, cioè soprattutto plastica, gomma e altri materiali che sono tutto fuorché “biomasse” ma che hanno un buon potere calorifico e quindi bruciano bene e generano il calore e l’elettricità che sono ammessi alle sovvenzioni statali.
Con questo trucco linguistico " rifiuti uguale a biomasse "gli inceneritori, pur inquinando, sono premiati con soldi pubblici che i cittadini pagano … per essere inquinati. Utili informazioni su tale anomalia italiana si trovano nel recente libro di Marino Ruzzenenti, “L’Italia sotto i rifiuti”, pubblicato da Jacabook. La legge italiana è in contrasto con le direttive europee e l’Italia è stata denunciata per questa violazione e dovrà eliminare le sovvenzioni ai sistemi che producono elettricità dai rifiuti. Lo hanno chiesto a gran voce le centinaia di gruppi che protestano contro gli inceneritori, in una grande manifestazione nazionale il 6 settembre scorso. L’anomalia legislativa italiana ha danneggiato l’agricoltura che avrebbe potuto utilizzare le sovvenzioni statali per produrre biomasse veramente adatte come fonti di energia (comprese le forme utilizzabili come carburanti per autoveicoli) e soprattutto ha rallentato lo sviluppo di tecniche appropriate per una vera soluzione del problema dei rifiuti.
Tale soluzione richiede una attenta ed efficace raccolta separata delle frazioni di rifiuti più facilmente riciclabili e riutilizzabili; il vetro, la carta, la plastica, le lattine di ferro e alluminio, recuperati dai rifiuti, possono tornare a “vivere” come nuovo vetro, carta, plastica, metalli soltanto se non sono mescolati e contaminati con altri tipi di rifiuti; ciò richiede un po’ più di attenzione e di impegno civile da parte dei cittadini. La seconda via per far diminuire la massa dei rifiuti consiste nella progettazione e nella fabbricazione delle merci e degli oggetti in modo che durino più a lungo e siano più facilmente riciclabili, e ciò richiede innovazioni e invenzioni e crea nuove occasioni di attività produttive e di occupazione.
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