La battaglia per i cani detenuti a Greenhill, l’allevamento di beagles destinati alla vivisezione diventato famoso in tutta Italia, è stata una delle più importanti vittorie del movimento animalista italiano. Oltre ad aver liberato 2500 quattrozampe ed aver scongiurato loro un destino di sofferenze, ha riaperto il dibattito sulla vivisezione. Una pratica contestata non solo da chi difende i diritti animali, ma da gruppi sempre più vasti di medici, ricercatori e scienziati.
La critica scientifica: un errore metodologico
La maggiore critica, a parte quella etica, è fondata sul dato oggettivo che nessuna specie animale può essere un modello sperimentale per un’altra, umana compresa. La sperimentazione animale si baserebbe su un errore metodologico. “Ci sono differenze genetiche, metaboliche, biochimiche, strutturali tra specie e specie”, spiega da anni Massimo Tettamanti, chimico ambientale. “Come si può estendere all’uomo i risultati ottenuti sugli animali?”, chiedono i ricercatori che si schierano contro la sperimentazione animale. “Ogni specie differisce dall’altra non solo negli organi e nel loro funzionamento, nell’assimilazione delle sostanze, nel sistema immunitario, ma perfino in ogni singola cellula, negli enzimi essenziali, in ciascuna delle proteine che costituiscono la struttura dell’individuo”. I risultati di questo errore sono chiari. “Il 92% dei farmaci risultati innocui sugli animali vengono poi scartati durante le prove cliniche sugli esseri umani”, spiega il medico Stefano Cagno nel suo ultimo libro “Tutto quello che dovreste sapere sulla vivisezione (Ed. Cosmopolis). “Solo l’8% degli esperimenti di vivisezione passano il vaglio della sperimentazione umana”.
Alcuni dati - Più di 2000 animali al giorno solo in Italia!
Nonostante ciò 2.603.671 è il numero di animali uccisi in Italia a fini sperimentali nel triennio 2007-2009 (dati pubblicati sulla G.U. n.53 del 03.03.2010). Numeri mostruosi. Le specie più rappresentate continuano ad essere topi (1.648.314) e ratti (682.925), seguono uccelli (97.248), altri roditori e conigli (73.362), pesci (59.881): animali largamente impiegati a causa del loro basso costo e perché facilmente maneggiabili. E’ in aumento il ricorso alle scimmie (con una “preferenza” per i macachi). I primati non umani, come anche i cani, sono utilizzati per esperimenti fortemente invasivi che comportano alti e prolungati livelli di dolore: studi di tossicità e indagini legate a problematiche nervose e mentali umani e cancro. Oltre 1.500 cani, in gran parte della razza beagle, muoiono ogni anno nei laboratori italiani.
Chi pratica la sperimentazione animale?
In Italia sono oltre 599 gli stabilimenti autorizzati ad utilizzare animali. Si tratta di:
• industrie chimiche,
• industrie farmaceutiche
• laboratori ospedalieri
• istituti pubblici• università
La regione dove si pratica più sperimentazione è la Lombardia (133 stabilimenti), seguita da Emilia Romagna (99), Lazio (62) e Toscana (55). Solo Alto Adige e Valle d’Aosta non ne hanno.
La critica etica: una crudeltà insopportabile
La Lav (Lega anti vivisezione) denuncia che circa 1.500 cani muoiono ogni anno nei laboratori. Come? Ecco un esempio: una importante industria farmaceutica ha chiesto di poter sperimentare nuovi farmaci per l'insufficienza cardiaca su 80 beagles. Dopo l'intubazione, elettrodi verranno loro applicati sugli arti, un catetere inserito in un'arteria mediante puntura. Assumeranno farmaci per giorni e poi, "dopo un congruo periodo di convalescenza, potranno essere riutilizzati". Peggiore la sorte che tocca ad alcuni loro compagni, cui verrà inciso l'apice sinistro del cuore per impiantare un apparecchio per misurare la pressione. Sull'arteria coronaria verrà messo un manicotto che, una volta gonfiato, provocherà un infarto. E dopo aver riposato, gli animali verranno osservati mentre corrono su un tapis roulant. Fino a quando verranno sacrificati con un'iniezione letale.
Inutile e fuorviante. Perché porta a risultati sbagliati
Crudele, ma soprattutto fuorviante. Perché tutte le specie, uomo compreso, sono diverse. E reagiscono diversamente alle sostanze. “Offrite a vostra suocera della torta alla stricnina. Quando il giudice vi accuserà di omicidio, potrete sempre rispondere che avevate fatto assaggiare il manicaretto a cavie, polli e scimmie senza che questi ne risentissero”, dichiara provocatoriamente Stefano Apuzzo, portavoce di Gaia Animali & Ambiente. Il quale suggerisce, se avete ospiti a pranzo, di servire loro un buon manicaretto a base di amanita phalloides senza alcuna paura: è “scientificamente provato” che al coniglio non fa alcun male… E via così. L’arsenico non è velenoso per la pecora e la cicuta non lo è per cavalli, capre e topi. L’aspirina, con la quale ci curiamo, è teratogena per gatti e topi. “Che validità può avere una sperimentazione fatta su una specie diversa dalla nostra?”, gli fa eco Alessandra Corbella di Diamoci La Zampa “Se davvero i risultati ottenuti con una specie animale fossero trasferibili ad un'altra si potrebbero somministrare i farmaci umani al proprio cane quando sta male e invece non è possibile. Chi prenderebbe, per curare una bronchite, l'antibiotico che il veterinario ha prescritto per il cane?”. Esistono molti esempi di farmaci dati per sicuri dopo un'accurata sperimentazione animale, che si sono poi rivelati pericolosi -talvolta mortali- quando sono stati usati sull'uomo. “D’altronde spesso ad alcune sostanze i topi reagiscono in modo diverso dai ratti. Alcune risultano nocivi per gli uni ed innocui per gli altri. Noi a chi assomigliamo, ai topi o ai ratti?”, si chiede Apuzzo.
Le alternative
Le alternative alla sperimentazione animale ci sono. Un esempio? Con la ricerca in vitro, utilizzando tessuti umani provenienti da biopsie o da interventi chirurgici, si risparmierebbe la vita a 400.000 animali solo in Italia. Senza contare che indagini ottenute su tessuti o cellule umane provengono dalla specie di vero interesse (l’uomo, appunto) e sono quindi più affidabili dei dati ottenuti da animali. Altro esempio: il ricorso ad animali in ambito didattico potrebbe essere completamente evitato, grazie alla disponibilità di metodi alternativi di comprovata efficacia per ogni applicazione: dai CD rom, plastici e video per le esercitazioni pre-laurea di anatomia, fisiologia e farmacologia, ai manichini e simulatori virtuali utilizzabili dagli aspiranti chirurghi. L’uso di questi metodi permetterebbe una concreta e immediata possibilità di risparmiare animali ad una inutile e anacronistica fine.
L'International Center for Alternatives in Research and Education, I-CARE, in collaborazione con il CAAT, Center for Alternative to Animal Test, della John Hopkins University di Baltimora (USA), ha creato il primo Database Interattivo sulle Alternative all'uso di animali nella didattica. E’ consultabile sul sito: http://www.ethical-learning.org. Contiene 1038 metodi alternativi alle tradizionali sperimentazioni didattiche che fanno uso di animali, copre l'utilizzo di 264 specie animali diverse, è in continuo aggiornamento ed è redatto con istruzioni in sei lingue diverse: inglese, italiano, tedesco, francese, spagnolo e portoghese.
Come contrastarla? Stop Vivisection
E’ recentemente partita, orchestrata da varie associazioni antivivisezioniste internazionali (in Italia: Leal e Comitato Equivita) l’iniziativa popolare europea Stop Vivisection. Si tratta di una grande campagna di raccolta firme (sia cartacee che on-line) volta a modificare la Direttiva 2010/63 del Parlamento Europeo (detta “sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici”) ma meglio nota come “direttiva vergogna”. Gli organizzatori hanno alcuni mesi (fino a giugno) per raccogliere almeno un milione di firme. Una volta depositate, la Commissione Europea sarà obbligata ad analizzare la proposta Stop Vivisection. Non si tratta di una semplice petizione ma di uno strumento previsto dai trattati europei per far partecipare i cittadini all’attività legislativa europea. “E’ ovvio: più firme si raccoglieranno più sarà importante il peso della richiesta di abolizione della vivisezione”, sottolinea Vanna Brocca della Leal. Al fianco delle associazioni animaliste si è schierata anche Almo Nature, l’azienda produttrice di petfood naturale e biologico che a maggio organizzerà una grande iniziativa - campagna di raccolta firme in altrettante città italiane. Un alleato prezioso nella lotta alla vivisezione. “E’ un’occasione unica”, spiega il patron di Almo Nature Piergiovanni Capellino. “Toccherà a ciascuno di noi impegnarsi per sommergere di firme la Commissione e gridare forte il nostro No alla vivisezione, pratica immorale e non scientifica, contraria ai diritti degli animali e alla salute dei cittadini”. Per info: www.almonature.eu - www.stopvivisection.eu
C’è un altro modo per contrastare, da cittadini-consumatori, la vivisezione: vivere più possibile cruelty - free. Possiamo comprare, ad esempio, cosmetici (sia make-up che prodotti per l'igiene personale) e detergenti non testati sugli animali. Quando possiamo definire un prodotto cosmetico cruelty-free? Ebbene, esiste uno Standard Internazionale, chiamato appunto "standard cruelty-free", sostenuto da associazioni antivivisezioniste di tutto il mondo, il quale definisce che una data azienda è conforme allo Standard stesso quando ovviamente il prodotto finito non è testato su animali. I prodotti cruelty-free si riconoscono dal simbolo sulla confezione. Per info: www.agireora.org – www.gaiaitalia.it – www.consumoconsapevole.org
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