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susi penco 557838_473391546047562_1100354192_n1 1Da Susi Penco, biologa (ricercatrice all'Uni di Genova) conosciuta qualdo ero responsabile della delega al benessere animale del Comune di Genova, una lucida analisi e una proposta che più seria non si può.

Edgar

Mi chiamo Susanna Penco, ho 49 anni, vivo a Genova e da 16 anni sono affetta da sclerosi multipla. Sono biologa e lavoro come ricercatrice all’Università di Genova. Da sempre sono obiettrice di coscienza verso la sperimentazione animale per due motivi: perché non ho alcuna fiducia scientifica in tale pratica, e perché provo un grande senso di pietà nei confronti di tutti gli animali, umani e non umani.

La mia esperienza professionale inizia tanti anni fa, quando decisi, ancor prima di laurearmi, di dedicarmi alle colture cellulari come alternativa a una ricerca da me ritenuta cruenta ed inutile. Ebbi la fortuna di incontrare le persone giuste e fu così che divenni brava a coltivare cellule esclusivamente “in vitro” e poi, da anni, esclusivamente umane. Con l’avvento di attrezzature avanguardistiche e se la ricerca in vitro fosse finanziata come dovrebbe, si potrebbero ottenere grandi risultati applicabili all’uomo. Ma qui non voglio parlare delle ricerche “in vitro”, voglio parlare di quelle “in vivo”. In vivo su chi? Ma sull’uomo, certamente, ovviamente, naturalmente. E chi, sennò?!

Mi spiego, vorrei proporre ricerche che potrebbero essere immediatamente disponibili ed applicabili al vero “bersaglio” della ricerca: la nostra specie. Ecco perché ho premesso di essere vittima di una precisa malattia. Io sono assolutamente disponibile a fare da cavia: no, non sono una visionaria fanatica pronta al sacrificio della vita per un ideale che, tra l’altro, sarebbe ritenuto ridicolo e assurdo dai più. La mia malattia è “mia”, io ne sono affetta, ma certamente c’è qualcosa in comune tra me e tutti gli altri malati: qualcosa che dovrebbe essere indagato tramite, naturalmente, accuratissime anamnesi, banche dati, analisi statistiche ed epidemiologiche, ed altro.

Qualcosa si fa, ovviamente. Ma è poco, e sapete perché? Perché la parte del leone, per i fondi stanziati o “raggranellati” attraverso varie vie, anche molto nobili, dalla beneficenza, alle donazioni in tv, ai premi, ecc, la fanno le ricerche sui topi. Insomma, si riesce a far tornare quasi normali i topi, fatti ammalare artificialmente (nessun animale al mondo, a parte l’uomo, si ammala di sclerosi multipla!) con varie terapie, che poi si rivelano, il più delle volte, o inutili per la nostra specie, oppure ci scappa addirittura il morto, come del resto per altri farmaci, altre malattie, ma stessi metodi di ricerca (animali).

Sappiamo che per ammalarsi di sclerosi multipla ci vuole, consentitemi il paragone un po’ strano, una sorta di “fedina penale sporca”: è il Dna. Dunque, verosimilmente, tutte le persone che hanno la sclerosi multipla hanno una “predisposizione”, scritta nei geni, che, quando malauguratamente si combina con altri fattori ambientali ancora sconosciuti, dà la manifestazione della malattia. Questa predisposizione è condizionata dal famoso Mhc (Major Histocompatibility Complex), che è una specie di “codice fiscale” naturale che ciascuno di noi ha, e che, come un codice fiscale burocratico, è diverso da persona a persona. Ma qualcosa in comune c’è. O non esisterebbero i trapianti, le somiglianze tra parenti, l’identità dei gemelli “veri”, ecc. Ebbene, a tutt’oggi io, e coloro che mi curano, ignoriamo il mio Mhc.

Perché, se è così importante? Perché identificare l’Mhc comporta un esame del sangue costoso… Ma perbacco, costerà sempre meno delle migliaia di ricerche su migliaia di topi che conducono al quasi nulla: i topi si rimettono dalla malattia indotta (sono state usate anche le scimmie, a dire il vero, senza risvolti utili!) eppure i risultati, incoraggianti su altre specie, non sono trasferibili all’homo sapiens sapiens.

Ecco che mi piacerebbe essere utile a me stessa e ai posteri, futuri malati di sclerosi multipla: sarebbe opportuno identificare il mio “codice fiscale biologico” (l’Mhc), propormi di sottoporre a monitoraggio, continuo nel tempo, il mio stile di vita: ad esempio, abitudini alimentari, attività fisica, farmaci assunti, e cento altre cose, sottopormi con regolarità ad esami innocui (diagnostica per immagini, dalle risonanze agli ecocolordoppler, a prelievi di sangue ed eventualmente di liquor, ad esempio). Non solo non mi peserebbe prestarmi a seguire certe regole, monitorare me stessa e “accudirmi”, magari con un accurato “diario di bordo”- né peserebbe a molti altri pazienti, lo so – ma mi sentirei utile a me stessa e agli altri. Nessuna follia, dunque. Solo buona ed etica ricerca medica sui malati, i veri protagonisti. Io degli studi sugli animali mica mi fido.

Esistono già ricerche cliniche su pazienti umani, ma, a mio modesto avviso, ancora poco coordinate, poco gestite, frammentarie, ritenute secondarie alla ricerca su animali - che comporta, a dirla tutta, una grande produzione scientifica di lavori su prestigiose riviste e… aiuta la carriera dei ricercatori. E poi, ditemi, perché nessuno mi “usa”, se sono attenta, lucidamente consenziente, diligente ed affidabile e per di più con competenze scientifiche?

Delusa dal disinteresse nei confronti di Susy viva, ho cercato di consolarmi pensando al futuro (spero lontano): quando di me resterà la salma. Sì, avete inteso bene: ho deciso, molto tempo fa, di donare il mio cadavere all’Aism (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) affinché il mio sistema nervoso centrale difettoso (ma anche altri organi) sia indagato, studiato, osservato, analizzato, in rapporto anche con quello dei miei parenti stretti che, persuasi della bontà del gesto, hanno seguito il mio esempio, generoso verso i miei simili e pietoso verso chi non c’entra nulla (gli animali, topi, cani, gatti o scimmie che siano). Naturalmente il tutto, come un testamento, è revocabile in qualsiasi momento, se si cambiasse idea. A me non capiterà!

È su animali vivi che si pratica la sperimentazione animale. Si fanno nascere apposta. Fate caso al linguaggio comune giornalistico e televisivo: gesti, avvenimenti, fatti e persone è tutto “straordinario”. Un aggettivo inflazionato. Ebbene, io desidero qualcosa di assolutamente ordinario! Nulla trovo di eroico, strano, eccezionale o straordinario nel mio auspicio, nei miei propositi. Sono alla ricerca di qualcosa di buono, che sia buono, che produca risultati buoni. Per tutti. Senza vittime.

Susanna Penco