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di Giorgio Nebbia

Avrebbero dovuto chiamarlo "Acqua" e non "Terra", il nostro pianeta, perché l'acqua è presente in quantità grandissima e occupa una superficie ben più grande di quella dei continenti e delle terre emerse.  E’ noto quanto sia grande e immenso il mare, anche se tutta la sua acqua non serve a (quasi) niente a fini umani e neanche per l'irrigazione, per la sua troppo elevata concentrazione di sali, 35 grammi per ogni litro. L'acqua "utile" per la vita e per gli umani deve avere una concentrazione salina massima di circa uno o due grammi per litro.

L'unica acqua utile è quella fornita dal grande distillatore di acqua marina alimentato dal Sole; l'energia del Sole fa evaporare l'acqua dalla superficie dei mari e delle terre emerse e la porta allo stato di vapore nell'atmosfera; poi ancora il Sole, scaldando diversamente le varie parti del pianeta, fa spostare le masse dei gas dell'atmosfera fino a quando incontrano dei corpi freddi, al di sopra o sulle terre emerse, e a questo punto il vapore acqueo si condensa ad acqua liquida, priva di sali, che cade sulla superficie dei continenti e degli stessi oceani.

 

400.000 miliardi di metri cubi all'anno evaporano e ricadono, e di questi solo 100.000 miliardi di metri cubi all'anno cadono sulle terre emerse. Di questa acqua una parte rievapora e una parte (circa 40.000 miliardi di metri cubi all'anno) scorre liquida, con basso contenuto salino, sulla superficie delle terre emerse, nelle valli, si infiltra nel sottosuolo e riemerge nelle sorgenti, nei fiumi, attraversa i laghi e ritorna nei mari per ricominciare il suo ciclo.

E' fin troppo ovvio, soprattutto ai cultori di geografia, che l'acqua è la fonte della vita, fa crescere le piante, è la materia prima (insieme all'anidride carbonica) per la fotosintesi clorofilliana, nutre gli animali e nutre e "serve" quegli animali specialissimi che sono le donne e gli uomini. Non si sa esattamente quanta acqua occorre per le attività umane, per bere, per cuocere gli alimenti, per lavare, per eliminare gli escrementi, per irrigare i campi per nutrire gli animali da allevamento, per le industrie; si calcola un uso di qualche miliardo di metri cubi all'anno, una piccola frazione di quella disponibili nei fiumi, nei laghi, nel sottosuolo. Eppure circa due miliardi di terrestri, donne, uomini, vecchi, bambini, hanno acqua insufficiente o di cattiva qualità perfino per mangiare e per bere, mancano di servizi igienici, gabinetti e fognature, circa un miliardo soffre letteralmente la sete. "Sete" che significa non soltanto poca acqua da bere o per usi di cucina, ma anche pochissima acqua per fini igienici, per lavarsi, per svuotare gli escrementi. I giornali e i notiziari mostrano spesso dei bambini che trascinano delle carriole con contenitori pieni di acqua, raccolta lontana da casa; o donne che portano i contenitori di acqua sulla testa per chilometri. E intanto circa un miliardo di persone fa un uso smodato e irrazionale dell'acqua e migliaia di chilometri di acquedotti perdono la loro preziosa acqua.

I mutamenti climatici in atto rendono più bizzarre le piogge e provocano siccità o alluvioni. Spesso la poca acqua dolce disponibile in un territorio viene contesa fra paesi vicini; si parla ormai di guerre per l'acqua e la crisi si fa di anno in anno più grave e preoccupa le autorità internazionali. Per parlare di ciò e per cercare soluzioni, nel marzo 2009 si è svolto a Istanbul il 5° Forum mondiale dell'acqua, una enorme riunione a cui hanno partecipato diecine di migliaia di persone, ministri, capi di stato, amministratori locali, ma soprattutto rappresentanti e portavoce di interessi industriali e commerciali e relativi portaborse, e anche ambientalisti e portavoce dei movimenti per la difesa dell'acqua. Chi sa quanti chilometri di acquedotti e fognature sarebbe stato possibile costruire con le centinaia di migliaia di euro spese per queste grandi assemblee e per questo turismo congressuale, tanto più che in questa, come nelle altre diecine di conferenze sull'acqua, si dicono sempre le stesse cose, note da anni, senza fare concreti passi per dare acqua a chi non ce l'ha…
 
In molte zone dei vari continenti -Africa centrale, sud-est asiatico, America meridionale- ci sono grandissime risorse di acqua dolce nei fiumi e nei laghi e poca popolazione che peraltro in genere non ha acquedotti o servizi igienici per trarre beneficio da questa ricchezza. Ci sono molte zone dei vari continenti -in genere quelle dei paesi "industrializzati"- in cui è molto grande la popolazione, accentrata in città sempre più numerose e grandi, in cui sono intense le attività agricole e industriali, è alta la richiesta di acqua dolce e la disponibilità di acqua nei fiumi e nei laghi è limitata anche perché l'inquinamento provocato dalle città, dalle industrie e dall'agricoltura e zootecnia rende non potabile (in un certo senso "distrugge" dal punto di vista dell'utilizzabilità a fini umani) parte dell'acqua dolce esistente.
Tanto per cominciare la soluzione delle crisi dell'acqua va cercata in una giustizia distributiva e qui ci si scontra col primo grave ostacolo, quello della "proprietà" dell'acqua, al centro di tutti i dibattiti sotto due aspetti. Di chi è l'acqua di un fiume come il Po, o il Danubio, o il Rio delle Amazzoni, che scorre fra diverse regioni e paesi? Il titolo della conferenza di Istanbul era proprio: "Stendere dei ponti" fra rive e popoli che si affacciano sullo stesso fiume. Non a caso la Turchia, che ospitava il Forum mondiale, ha conflitti con la Siria e l'Iraq per la "proprietà" delle acque del bacino idrografico del Tigri-Eufrate, il "grande fiume" biblico che si estende nei tre paesi confinanti. Simili problemi si hanno nel caso del Reno o del Danubio o anche del Ticino, metà svizzero e metà italiano, anzi in Italia, metà lombardo e metà piemontese.

Chi preleva acqua da un fiume per le proprie legittime necessità priva di parte dell'acqua coloro che vivono a valle e che avrebbero le stesse necessità e lo stesso diritto sull'acqua del fiume comune. Chi scarica sostanze inquinanti in un fiume rende inutilizzabili le acque dello stesso fiume per le popolazioni a valle. Bisognerebbe perciò riconoscere che la vera unità politico-economica in cui si dovrebbe regolare la distribuzione e l'uso delle acque è il bacino idrografico, quel territorio composto da ogni valle con i fiumi principali e i loro affluenti, in cui scorre l'acqua delle piogge e delle nevi dall'alto fino al mare. La distribuzione e l'uso delle acque dovrebbero essere pianificati, decisi e fatti dalle popolazioni che abitano ciascun bacino. Sfortunatamente per ragioni anche storiche, ciascun bacino idrografico è diviso fra vari stati e regioni amministrative, ciascuno dei quali si considera "padrone" dell'acqua del suo pezzo di bacino idrografico. Lo stato o la regione a monte di un bacino idrografico non ha nessun obbligo di avvertire chi sta a valle che costruirà una diga, che preleverà tanta acqua, che scaricherà tanti rifiuti nel bacino. Spesso i paesi che si spartiscono uno stesso bacino idrografico sono in conflitto.

La soluzione potrebbe essere cercata in una educazione a considerare l'acqua come bene comune delle popolazioni che abitano lo stesso bacino. Dovrebbe esistere non il popolo del Piemonte o quella del Veneto, ma il "popolo del Po", o altrove il "popolo del Danubio", o il "popolo del Giordano", eccetera. Non a caso nel corso del Forum di Istanbul sono state ripetute le parole solidarietà e collaborazione, purtroppo dalle bocche dei partecipanti, ma così poco nel cuore e nella politica dei governanti dei vari paesi.

L'acqua dolce dei fiumi e dei laghi può arrivare alle singole persone, famiglie, città, ai campi e alle fabbriche, soltanto attraverso tubazioni, impianti di depurazione, pompe e macchinari, che richiedono soldi. In via di principio dovrebbe essere lo stato che si assume il compito di assicurare acqua a tutti facendo pagare un prezzo equo e uguale, tale da coprire le spese per le opere di trasporto e distribuzione. L'"acqua di stato" come servizio pubblico dovuto ai cittadini. Di fatto gli stati con riescono (o non riescono più, o rinunciano) a svolgere questa essenziale funzione e dovere e si affidano a imprese il cui fine non è quello di soddisfare dei diritti civili e umani, ma di guadagnare, di coprire con le tariffe i costi affrontati e ricavarne profitto. E dove non "c'è mercato" per guadagnare non c'è neanche interesse ad assicurare l'acqua alle persone -per lo più ai popoli poveri- da cui non si può ricavare nessun utile.

Sempre più spesso riviste e i mezzi di comunicazione ci hanno mostrato i bambini con pesanti carriole piene di bottiglioni di acqua o donne con recipienti di acqua sulla testa che vagano da un fiume alle case o alle baracche. Chi volete mai che investa soldi per alleviare la fatica di queste persone -sono, ripeto, alcuni miliardi nel mondo- quando ciò non assicura profitti? Quando addirittura l'acqua "di tutti" è concessa dagli enti statali o regionali, a pochi centesimi di euro al metro cubo, ai privati che la imbottigliano e la vendono a diecine di euro al metro cubo? Anche al Forum di Istanbul tante parole, tante interviste, tante luci, ma nessuna risposta alla unica realtà: non esiste un padrone dell'acqua e l'acqua è un diritto di tutti. Arrivederci al prossimo Forum mondiale fra tre anni a Marsiglia.