di Marco Masini
Tempo fa, sul sito di Gaia, abbiamo introdotto il tema della conservazione alimentare con le tecniche pre-industriali, note sin dalla notte dei tempi, come l’essiccatura, la salatura e le salamoie. Questi metodi hanno consentito lo sviluppo e la diffusione della presenza umana al di là dei limiti – anche fisici – derivanti dalla necessità di migrare con la fauna e con le stagioni. La stanzialità che ne è derivata ha consentito lo sviluppo delle città e della “civiltà” così come la intendiamo oggi, con i suoi vantaggi e svantaggi.
Ci concentriamo, ora, sulle tecniche per la conservazione alle basse temperature: al giorno d’oggi, sicuramente, la metodologia più diffusa nelle nostre case e città, che hanno, tra le altre cose, la capacità di non modificare le caratteristiche organolettiche dei cibi.
La conservazione alle basse temperature è basata sul principio descritto dall’equazione di Arrhenius, che descrive la decelerazione delle velocità di reazione delle sostanze chimico-fisiche in funzione della riduzione temperatura. La cosa, descritta scientificamente nel 1889, era nota da sempre, tant’è che per secoli la neve e il ghiaccio sono stati utilizzati per refrigerare gli alimenti e conservarli più a lungo. Neve e ghiaccio venivano trasportati dalle montagne alle città con carrozze isolate, e le ville erano dotate di stanze sotterranee dove veniva stivato il ghiaccio in inverno, così si riusciva a mantenere per molti mesi l'ambiente a bassa temperatura.
Nell'800 si diffusero le prime ghiacciaie domestiche: erano armadi nei quali veniva stivato il ghiaccio che si acquistava sottoforma di stecche. Per avere i primi frigoriferi (detti a compressione, che sfruttano cioè la capacità di un gas di assorbire calore dall'ambiente quando evapora) si dovette attendere il deposito del primo brevetto, nel 1851, da parte dall’americano John Gorrie. Ma si diffusero solo nel dopoguerra. La storia dei frigoriferi inizia nel 1834, pochi anni dopo che S. Carnot formulò le sue teorie sul ciclo frigorifero. Nel XIX secolo i fluidi utilizzati erano tutti "naturali": acqua, ammoniaca, anidride solforosa, anidride carbonica. Nel 1912 Linde propone il protossido d'azoto e, poco dopo il 1920, un impianto frigorifero funzionante a etano e propano.
Allo scienziato ed ingegnere Lord William Thomson, iI barone Kelvin, si deve il nome e l’invenzione del ciclo a compressione (ciclo Kelvin), che consentì la nascita del frigorifero. Lord Kelvin ideò un ciclo termodinamico in cui si applica un lavoro di compressione per far passare un fluido (detto fluido refrigerante) dallo stato gassoso allo stato liquido; la compressione ed il cambiamento di stato producono calore, che è estratto dal ciclo. Successivamente il liquido è fatto espandere ed evaporare, sottraendo calore nel cambiamento di stato inverso: il liquido in evaporazione (ed espansione) produce l’effetto frigorifero.
Per una buona efficienza del ciclo, furono introdotti i fluidi refrigeranti sintetici, comunemente noti come Freon (nome brevettato dalla Du Pont) abbandonando, per la loro pericolosità e tossicità, l'utilizzo dei fluidi “naturali”. Negli anni trenta del ‘900, la Frigidaire propose sul mercato nuovi refrigeranti, che consentirono una maggiore sicurezza d'uso. A partire dal 1930 fanno la comparsa sul mercato i primi fluidi clorurati: R11, R12 e, via-via negli anni, R22 e R502. Gli elementi chimici che hanno potuto garantire requisiti di non tossicità ed infiammabilità sono il cloro ed il fluoro che sono entrati a far parte in gran quantità nella composizione dei CFC e degli HCFC.
Quando però il problema del buco dell'ozono e dell'effetto serra sono saliti alla ribalta internazionale si è visto che i CFC non potevano più essere accettati, dato che contribuivano notevolmente all’aggravarsi dei due problemi, stante proprio la presenza nella loro composizione del cloro e del fluoro, e si sta tornando, ad oggi, ai vecchi refrigeranti naturali!