di Giorgio Nebbia
Ormai due o tre volte all’anno l’Italia deve fare i conti con i danni delle alluvioni; le città allagate, i tombini intasati, i raccolti perduti, le case, i negozi, le officine piene di fango sono diventati eventi sempre più frequenti e violenti anche a causa dei mutamenti climatici. In questi giorni, che registrano il dolore in tante zone e città d’Italia, dal Nord al Sud alle isole, si può stimare in due o tre miliardi di euro all’anno il denaro pubblico necessario per risarcire i danni subiti dalle persone che hanno perduto i propri beni, le case, le possibilità di lavoro, a causa delle frane e alluvioni.
Dopo la grande alluvione di Firenze e Venezia, nel 1966, il governo diede l’incarico ad una commissione presieduta dal prof. De Marchi di indicare come evitare tali futuri disastri. La Commissione individuò le azioni da fare e indicò la necessità di investimenti per 10 mila miliardi di lire di allora, corrispondenti a circa cento miliardi di euro attuali; oggi probabilmente ne occorrerebbero molti di più perché è aumentata la fragilità del nostro territorio.
Per attenuare i dolori e i costi delle alluvioni ci sono alcune cose da fare: prima di tutto opere di rimboschimento e incentivi per riportare l’agricoltura nelle zone collinari perché la cura del bosco e il paziente e rispettoso lavoro degli agricoltori sono i principali rimedi per regolare il flusso delle acque nel loro cammino dalle valli al mare. Se il suolo è coperto di vegetazione la forza di caduta delle gocce d'acqua si "scarica" sulle foglie e sui rami, che sono elastici e flessibili, e l'acqua scivola dolcemente verso il suolo e scorre sul terreno con molto minore forza erosiva e distruttiva.