di Giorgio Nebbia ( Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. )
Oggi si celebra la “giornata mondiale dell’ambiente”, istituita quarant’anni fa a conclusione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano. Alla “giornata dell’ambiente” ci si può avvicinare con diverse posizioni. La prima è quella ufficiale, direi ministeriale, consistente in conferenze, dichiarazioni di buona volontà e di amore per l’ecologia, in coerenza con i principi che regolano la politica e l’economia e che accomunano i paesi industriali avanzati, quelli emergenti e anche quelli poveri.
Dalle crisi economiche si può e si deve uscire con la crescita della ricchezza: è la crescita che assicura, si dice, i posti di lavoro e la liberazione dalla miseria, una crescita che da noi apparentemente è dominata da alcune divinità: l’automobile, il telefono cellulare, la moda/lusso, i cibi raffinati. Solo adorando queste divinità si sistemano i conti delle aziende e degli stati.
La seconda attitudine verso l’ambiente è ben rappresentata da due aggettivi: ”verde” e “sostenibile”. E’ vero che la crescita legata alle quattro divinità può avere qualche effetto negativo sulla natura: i gas delle automobili danneggiano i polmoni degli abitanti delle città e, insieme a quelli delle fabbriche, modificano l’atmosfera provocando alterazioni del clima, improvvise tempeste e siccità; è vero che la crescita dei consumi di energia e di elettricità porta ad un impoverimento delle riserve di risorse naturali e spinge a cercare petrolio e gas a sempre maggiori profondità e fratturando le rocce profonde; è vero che il lusso dei grattacieli ultraricchi provoca, come a Singapore, un abbassamento del livello del suolo perché, tutti insieme e tutti vicini, pesano troppo; è vero che il turismo d’assalto altera le coste e le montagne incontaminate. Ma tutto questo può essere attenuato con azioni “verdi” e sostenibili.
Anzi il motto della giornata dell’ambiente 2012 è proprio quello della “economia verde”: Grandi automobili ma con minore consumo di gasolio, cellulari riciclabili, vacanze di lusso con raccolta dei rifiuti, plastica degradabile, eccetera. Tutte soluzioni considerate lodevoli; assicurano la continuazione della crescita economica e l’occupazione e alleggeriscono, anche se solo un poco, la pressione sulle risorse e la loro iniqua distribuzione.
C’è poi una terza maniera “ecologica” di vedere il mondo, quella della decrescita, non si sa di chi e di che cosa; quella dell’ecologia profonda ispirata agli ideali buddisti, all’adorazione della natura nelle notti di luna, con cene tutte “biologiche”.
Negli anni settanta del Novecento il movimento ecologico nacque all’insegna dell’immagine di “Una sola Terra”, quel piccolo pianeta vagante nello spazio che era stato fotografato dagli astronauti nei loro voli verso la Luna. Un pianeta che è l’unica mostra casa, sul quale vivono e si affollano oggi settemila milioni di persone, tutti -ricchissimi e ricchi, poveri e poverissimi- affannati a sfruttare le risorse forestali, alimentari, minerarie, energetiche, affannati nelle guerre (rese più terribili dalla diffusione delle armi, merci oscene per eccellenza) per contendersi i vantaggi economici associati allo sfruttamento delle rispettive ricchezze maturali.
Quella Terra, bellissima e terribile, che se la ride di tutti i nostri affanni e delle nostre illusioni: basta un suo sussulto un po’ più forte per spazzare via, come in Giappone, le orgogliose centrali nucleari; basta un sussulto un po’ più piccolo per gettare nel dolore centinaia di migliaia di persone come oggi in Emilia; basta un piccolo cambiamento nella circolazione dell’acqua degli oceani per rendere calde le regioni fredde e per far diluviare su altre terre distruggendo fabbriche, campi coltivati e case. Eppure la Terra non ci ha tenuto nascoste le sue leggi e regole; gli studiosi, gli ecologi, quelli veri, hanno capito e spiegato come funziona il pianeta, come si muovono le acque e i mari, quanto peso può sopportare il suolo, che cosa succede quando si scavano caverne nel sottosuolo, come agiscono vulcani e terremoti, come aumenta e diminuisce la popolazione nei vari paesi.
Queste conoscenze indicano anche le azioni “economiche” che vanno e non vanno fatte, spiegano che le tante risorse della Terra sarebbero in grado di risolvere i problemi umani di tutti i suoi abitanti a condizione che chi ha tanto accetti di accontentarsi per poter lasciare una frazione maggiori di questi beni a chi (mille milioni sui sette totali) non ha acqua, cibo, luce, istruzione, non è in grado di curare le malattie, di assicurare una vita decente ai bambini e agli anziani.
La salvezza sta nella solidarietà fra esseri viventi e la solidarietà richiede la capacità di rallentare la violenza che le varie divinità consumistiche esercitano sulla nostra casa comune. Una ricetta che induce non alla disperazione, ma anzi ad azioni coraggiose, però diverse da quelle correnti, che disturbano alcuni interessi potenti ma che assicurano occupazione e vita decente ai meno fortunati: nuove e diverse città, nuovi modi di usare le risorse agricole e forestali, nuove e diverse merci, cioè lavoro, impegno e fantasia.
Un vecchio pensatore, Albert Schweitzer (1875-1965), chiamò questo nuovo corso dell’economia e della civiltà: “rispetto per la vita”.
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