di Giorgio Nebbia
Fra "il milione" di meraviglie che Marco Polo racconta di aver trovato nel suo lungo viaggio in Asia, una di quelle che hanno attratto maggiormente la curiosità è stata la tovaglia "che non brucia". Oggi sappiamo che si trattava di un tessuto di amianto, il minerale che si presenta, nelle rocce, in sottili filamenti biancastri che si prestano ad essere filati e tessuti e che sono non infiammabili: anzi possono essere lavati mettendoli sul fuoco. Quell'antico ricordo ha stimolato, nella metà dell'Ottocento, numerose invenzioni che hanno poi assunto crescente importanza.
L'amianto è stato impiegato ogni volta che occorrevano delle pareti o dei manufatti resistenti al fuoco e alle alte temperature e con buon isolamento termico; l'avvento dei treni e delle automobili richiedeva materiali per i freni e le frizioni capaci di resistere alle alte temperature dovute agli attriti e alla fine dell'Ottocento è stato inventato il Ferodo, un impasto di amianto e resine che poteva essere formato in dischi. Fili e tessuti di amianto si prestavano bene per la produzione di indumenti per vigili del fuoco; ma il grande successo dell'amianto si ebbe con la scoperta che, proprio per la sua natura minerale, inorganica, si prestava bene ad essere impastato col cemento per formare dei pannelli e tubi di amianto-cemento commercializzati in tutto il mondo col nome di eternit (quasi ad indicare il carattere eterno delle coperture di tetti e dei tubi di questo materiale), fibronit, ondulit, eccetera. Addirittura con l'amianto-cemento potevano essere costruite vasche e contenitori inattaccabili dagli acidi e dotati di notevole resistenza meccanica: un trionfo.
L'amianto appartiene alla serie delle invenzioni che, salutate all'inizio come liberatorie, hanno poi rivelato di nascondere delle trappole che ne hanno provocato il declino. Ben presto si è osservato un aumento delle malattie e dei tumori fra i lavoratori delle cave da cui veniva estratto l'amianto. Nelle rocce l'amianto è presente in piccola concentrazione in mezzo a una grande quantità di roccia inerte che deve essere frantumata e polverizzata per ricavarne le fibre di amianto che si liberano nell'aria in polvere finissima. Una volta respirate, le fibre d'amianto, chimicamente inerti, con le loro estremità appuntite, provocano malattie respiratorie e mesoteliomi.I primi casi si sono osservati fra gli operai della principale miniera italiana di amianto che si trova a Balangero, in Piemonte. Poi altri casi sono stati osservati nelle operaie addette alla preparazione di fili e tessuti di amianto. Poi negli operai addetti alle fabbriche di amianto-cemento, presenti in varie zone d'Italia, e negli abitanti delle zone circostanti. Varie fabbriche di cemento-amianto a Casale Monferrato, Massa Carrara, Bari, sonob state in funzione per decenni fino a quando non ci si è resi conto che l'interno degli stabilimenti e le zone vicine sono state contaminate da polvere di amianto e devono essere "bonificate".
Ugualmente ci si è resi conto che fibre d'amianto, col passare del tempo e con l'usura, si liberavano dalle pareti e dai soffitti contenenti amianto e posti nelle aule scolastiche come isolanti termici e acustici, e dai pannelli presenti nei vagoni ferroviari e nelle navi --- e finivano nei polmoni degli scolari e dei viaggiatori. E ancora: fibre di amianto vengono rilasciate nell'aria durante l'usura dei "ferodi" dei freni e delle frizioni.
Poi sono aumentati i sospetti che anche le tubazioni di amianto-cemento, che trasportavano l'acqua potabile, con l'usura provocata dal passaggio continuo di acqua potevano liberare fibre di amianto che finivano nell'acqua del rubinetto. Poi sono finite sotto accusa le coperture ondulate di amianto-cemento che pure sembravano così comode, poco costose, attraenti ... e eterne. Per farla breve da una ventina di anni a questa parte gli organismi sanitari internazionali hanno cominciato ad emanare delle norme che limitano la massima quantità di fibre di amianto ammesse nell'aria e nelle acque, una opportuna decisione che segnato da una parte un declino degli usi dell'amianto, dall'altra la necessità di eliminare l'amianto da tutti i manufatti in cui esso ancora si trova.
E qui è apparsa la gravità della trappola in cui l'amianto ci ha fatto cadere. "Bonifica" è operazione apparentemente facile, ma si tratta di pulire edifici e contenitori e suolo spazzando, grattando e raccogliendo miliardi di miliardi di finissime fibre tossiche, con il lavoro di operai esposti a pericoli ancora più grandi di quelli degli operai che avevano estratto e installato l'amianto. La polvere di amianto che si solleva nella bonifica delle fabbriche e degli edifici "vola" all'esterno e compromette la salute degli abitanti delle zone vicine. I milioni di tonnellate di coperture e pannelli di amianto-cemento, una volta smontati, nel caso migliore, vengono sistemati in discariche. Chi viaggia in treno vede dei binari occupati da vecchi vagoni ferroviari arrugginiti all'aria e alla pioggia, con porte e finestre sigillate, che aspettano qualcuno che li liberi dai pannelli di amianto. Molte scuole hanno dovuto essere chiuse per togliere i pannelli e le pareti di amianto e sostituirli con altre. E quelli tolti dove finiscono ?
Si moltiplicano le ditte che dichiarano di essere in grado di effettuare bonifiche di zone contaminate, di smontare e smaltire manufatti di amianto, ma ben pochi controlli vengono fatti sull'efficienza delle operazioni promesse. Talvolta addirittura, come si è verificato, la malavita organizzata si appropria delle presunte bonifiche dei vagoni ferroviari.
La lezione imposta da questa "bomba a orologeria" ecologica --- altri casi di merci di successo che dopo poco hanno rivelato il loro carattere nocivo sono offerti dal DDT, dal piombo tetraetile, dai clorofluorocarburi presenti a milioni di tonnellate nei frigoriferi e nei manufatti di resine spanse, dalle scorie radioattive delle centrali nucleari --- invita ad un riesame critico del passato e ad un esame preventivo delle innovazioni tecniche. E suggerisce anche delicati problemi giuridici: i fabbricanti delle merci nocive ne hanno tratto subito un profitto, ma chi paga i costi della riparazione dei danni provocati, a distanza di tempo, dalle loro merci? e dei malati e dei morti (supposto che la perdita della vita possa essere risarcita con denaro)?
Si parla tanto di bioetica, ma non sarà male cominciare a elaborare una etica delle merci e dell'impresa.
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