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nebbia giorgio

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zuppa_pastello360Agli italiani, si sa, non piace tanto il brodo e tutto cio' che e' brodoso; non piacciono dunque minestre e zuppe in cui gli ingredienti solidi - siano paste, o risi, oppure ortaggi e via dicendo - nuotino e siano da pescare, letteralmente, col cucchiaio.
Perche' ci sia questa nostra prevenzione, e' tutto un discorso da fare, una esplorazione in cui calarsi attraverso i tempi, e il costume, e l'adattamento al vivere quotidiano.
Possiamo comunque considerare che siamo il popolo del primo, che voleva dire e ben torna a significare "piatto unico"; e che si richiede consistente, nei diversi ingredienti cibo completo.
Possiamo anche ripensare a quello che era il cibo, il piatto unico spesso, certo la base dell'alimentazione romana, nel mondo antico: e cioe' la puls, plurale pultes, nel tardo latino polenta (proprio cosi', questa parola appartiene al vocabolario latino prima di entrare nella lingua italiana): e si trattava proprio di zuppe molto dense, in cui entravano sia cereali macinati, sia, per arricchire, legumi, ortaggi, o anche, in varie versioni, pezzetti di formaggio, miele, e via dicendo.

Ecco, le pultes erano piatto principe: elemento fondamentale della nutrizione; antenate anche della polenta gialla, che poi e' entrata nella alimentazione italiana, al nord, come cibo ugualmente essenziale, povero, salvo arricchimenti vari quando era possbile; antenate, ancora, di zuppe e minestre e minestroni che da noi per aver fortuna devono essere ugualmente densi, e il piu' possibile illardellati dalle aggiunte. Non c'e' piu' un cereale solo, macinato, in questi cibi, che assieme all'acqua faccia da base (salvo rare sopravvivenze); ma c'e' l'idea, con le sue radici ancestrali, che debba trattarsi comunque di cibo abbastanza c onsistente per piantarvi dentro, appunto, oggi come allora, un cucchiaio che stia ritto; che nel cibo cioe' vi sia una compattezza sufficiente a sostenerlo in piedi.
Questa era antichissimamente, e rimase, ed e' in auge tutt'oggi, la richiesta dell'italiano medio, quando proprio deve rinunciare all'amatissima pasta asciutta, al buon risotto, che non ha niente a che spartire, naturalmente, anche questo, con zuppe e minestre in senso classico. L'ideale e' che col cucchiaio poi non si debba raccogliere, o si debba raccogliere solo minimamente, una parte liquida. Cosi' siamo noi. E il brodo vero e proprio va bene caso mai per gli ammalati; o per cuocervi altri piatti; o per allungare un fondo di cottura. Ma abbiamo ragione?

Zuppe e minestre, purche' siano ben dense.
Siamo dunque d'accordo che agli italiani minestre e zuppe brodose non vanno tanto; amano affondare il cucchiaio piu' che nel liquido, nel solido. E il brodo va bene soprattutto come liquido di cottura, che poi viene assorbito e si consuma; oppure per allungare altri fondi di cottura, che tendono a rinsecchire; o, al limite, come liquido da bere proprio come lo abbiamo disponibile, per scaldare lo stomaco dopo qualche piatto ben piu' massiccio e consistente, per tener su un convalescente; e via dicendo.

Ma se andiamo poi a vedere il patrimonio italiano di zuppe e minestre, scopriamo che e' ricchissimo, variegato, forse il pi ricco e splendido del mondo. Come si spiega tutto cio'?
Un po' si spiega perche', come abbiamo giˆ rilevato, c'e' una tradizione viscerale, nel nostro senso della tavola, che ci riporta a quelle antenate della polenta, che non sono altro che zuppe dense, a volte molto ricche e hnzionali per l'alimentazione: come dicevamo, le pultes romane. Se in questa ottica diamo uno sguardo al capitolo di queste ricette, nella cucina italiana, tutto diventa chiaro.
Basta pensare a tutti i tipi, ad esempio, di pasta e fagioli: che e' cibo nazionale, dalle Alpi al Lilibeo (come dicevano una volta i fioriti oratori e poeti). Ogni regione ha la sua o le sue, con le sue varianti, ma sempre paste e fagioli sono, a volte di altissima scuola culinaria, se si pensa all'uso che si puo' fare di puree e passati di legumi, e altro, per eleganti composizioni.
Basta pensare anche a quel monumento della cucina toscana, che pero' ha varianti similari un po' in tutta Italia, e che si chiama "ribollita": la cui caratteristica sta proprio nel fatto che si cuoce, si fa raffreddare, e si ricuoce aggiungendo olio fresco: cosicche' per effetto di una trasmutazione degli elementi degli ingredienti, acquista sapori e aromi eccezionali - cibo paesano, certamente, di nobiltˆ contadina ma anche di alta scuola culinaria, poiche' questa maniera di cuocere significa pur sempre qualcosa di raffinato, che non si trova nelle altre cucine, di ogni parte del mondo.
E tante altre sono, continuando a guardare nei nostri tesori di cucina di tutti i tempi, le variazioni sul tema. Pensate a quell'accordo di fave e cicoria, che pure e' una zuppa, e si chiama nell'ltalia del sud "capriata" o "macco". Per una zuppiera di questo cibo Ercole fu in grado, secondo la leggenda, di cambiare 'stato', in una notte, a diecimila vergini...

Abbiamo una ricchezza veramente unica di questi cibi; e perfino la trascuriamo.