E' difficile amare la natura senza amare il sogno.

Perche' GAIA recensisce e consiglia un libruccio di poesia?

Un grande scrittore italiano, Giuseppe Conte, una volta ha scritto: "diffido di chi ama la natura senza amare il Mito".

Sara' sempre un amore infondato, incapace di creare. Un amore, come un giardino, e' sterile se non e' alimentato da una sorgente celeste.

E' il sogno della natura a presentarci immagini che ci dicono che anche noi siamo in quel sogno, e' immaginare l'alito vivente che ammanta tutte le cose che ci fa sentire d'essere vivi - o ci fa intuire come potrebbe essere la nostra vita.

Ci sono sensibilita' diverse. Appoggiando il palmo della mano al tronco di un albero si puo' toccare la materia prima di quello che sara' il nostro appendiabiti.

Oppure possiamo vedere un cinquemillesimo di una porzione boschiva di cinquemila alberi destinata in parte al taglio in parte al rimboschimento.

Oppure si puo' pensare alla sua utilita' come produttore di ossigeno e aspiratore di CO2 o anidride carbonica, percio' utile all'uomo, percio' da difendere.

O, infine, si puo' sentire palpitare in quel tronco "un sangue verde al ritmo della vita" (von Droste-Hulshoff), un essere vivente ove albergano miriadi di altri esserini, gli uccelli nelle fronde, le popolazioni del 'microcosmos' che lo abitano, sentire le erbe intorno a lui gonfiarsi vibrando, o ascoltare il vento tra i suoi rami e contemplarlo cosi', come "la poesia che la terra scrive al cielo" (Gibran).

Questa e' la sensazione che i poeti, gli spiriti alati, sentono al contatto con la natura; e, in quanto poeti, cantori di emozioni, essi sanno tradurle in parole. Sanno evocare, i poeti, il sentimento di unione intima con la natura. Sanno indicare nuove vie per raggiungerlo. Possono far divampare, in chi li ascolta, una nuova illuminazione.

Possono insegnarci un nuovo modo di intendere la natura.

Un modo che in occidente, da due secoli almeno, abbiamo perduto. Per coincidenza, proprio la fine delle credenze mitiche sui boschi e i ruscelli, la fine della magia, l'inizio del materialismo, segna l'avvio della piu' grande opera di trasformazione (e devastazione) della natura che la storia ricordi. Opera che prosegue, ininterrotta.

Se un poeta, semplicemente scrivendo una poesia, sapra' restituirci quel panorama incantato, multicolore, vivo, che la nostra vista non sa piu' vedere - egli ci avra' restituito un lucentissimo tesoro.

Questo si propose, tanti anni fa, Jorge Carrera Andrade. E se lo propone oggi la sua nuova traduttrice, Daniela Bellon, restituendo ai suoi versi quella nuova limpidezza che la polvere del tempo aveva un po' offuscato.

Come missione.

Gli squarci della tecnologia, del mondo delle macchine, delle ciminiere, gia' facevano breccia nel cielo azzurro dei suoi sogni e delle sue poesie.

E non mancava, Carrera Andrade, di scriverlo. E come elisir pero' distilla presto il ritorno alla natura. La difesa dei colori del mondo, e degli spiriti invisibili che lo animano.

Evoca le sensazioni elementari: il fuoco, l'acqua, la luce sono metafore e chiavi per la nuova visione del mondo. E se la sua parola, tornando alla luce, contribuira' a rischiarare il nostro sguardo... ci avra' restituito "la musica del mondo, il tenero cantico / della famiglia universale degli esseri / nell'unita' terrena, planetaria / della sua comune origine: la luce madre".

Staff

Una poesia con il ritmo del respiro. Rileggi la prefazione di GIORGIO CELLI.

| Jorge Carrera Andrade (1902 - 1978). Un profilo.

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Jorge Carrera Andrade
CACCIATORE DI NUVOLE

a cura di Daniela Bellon
prefazione di Giorgio Celli

StampaAlternativa, 2001
1€ - 2mila lire

Hanno detto:

Ha scritto poesie bellissime.

- Giuseppe Conte

Grazie ancora per il librino. Vado lenta perche' voglio leggerlo in spagnolo per sentirne la musica umida!

- Ornella Ferrarini, QUARK

 

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