Dalla PREFAZIONE - di GIORGIO CELLI La poesia ha niente a che vedere con la biologia? Oppure, in senso lato, con l'ecologia? Il clima evoca, forse, uno stile poetico che gli e', per dir cosi', peculiare? Di sicuro, tra i versi scritti dagli esquimesi, che vivono nel grande Nord e, per esempio, i Senegalesi che vivono sotto il sole d'oro fuso dell'Africa, dal momento che le parole sono cose, il lessico e' fatalmente differente. Nella poesia degli esquimesi troveremo delle foche che nuotano tra i castelli siderali degli iceberg, e in quelle dei popoli dell'Africa le gazzelle, e magari i leoni. Ma non e' questo su cui mi interrogo. La peculiarita' che voglio chiamare in causa, e che mi intriga, e' non so come dire, uno spessore, un succo, una linfa interna che percorre i versi, che li congela o li arroventa, che ne fa una geometria rigorosa o un caos fiammeggiante, un sussurro o un canto a piena gola. Si legga, allora, Mallarme', e subito dopo Andrade:non vi pare che a una sottile alchimia che cresce d'eco in eco, col respiro di remote brezze marine, e ombre di fauni di marmo piu' che di carne, non succeda un crogiuolo incandescente entro cui gorgheggiano uccelli dalle piume multicolori e svettano nel cielo, colonne di un tempio che si perde nell'azzurro, dei giganteschi palmizi? E' come se le parole dei versi di Mallarme' vi si vetrificassero in bocca, mentre quelle di Andrade vi si sciolgono sulla lingua come la polpa carnosa di un misterioso frutto tropicale. Mallarme' parla per enigmi che affida alle chiose dell'intelligenza, punta su di una emozione distillata negli alambicchi di un supremo magistero di scrittura. Andrade partecipa, invece, a una grande vendemmia lessicale, pesta dell'uva sotto i piedi, e il mosto gli schizza addosso. Ma ecco che da quel caos color d'arcobaleno balza fuori una stella danzante, la folgore di una metafora concreta e palpitante, che sembra fatta non di parole, ma di carne e di sangue. Mi viene in mente quello che ha scritto il nostro Berni, criticando i nostri poeti lirici, e un po' esangui del suo tempo, dei versi di Michelangelo: - Lui dice cose e voi dite parole. Tanto tempo fa lessi Andrade nella traduzione di un poeta del Gruppo '63, prematuramente scomparso, Antonio Porta. Mi rivedo ancora conversare con lui su quella sensazione fisiologica, su quel brivido corporeo che mi percorre il filo della schiena leggendo molti poeti sudamericani. Se l'avatar del Ventesimo secolo e' stato la ricerca del primitivo, l'arte africana in pittura o le statuette preistoriche in scultura, Andrade e i poeti del suo avventuroso continente all'aldila' dell'istmo di Panama, sono entrati e hanno esplorato la giungla delle origini, e tra tucani e giaguari, tra alligatori e formiche amazzoni, nella silenziosa pirotecnia cromatica delle orchidee e nel profumo del cacao, il teobroma terrestre degli dei, hanno trovato delle parole come foglie, dei versi con il mormorio dei grandi fiumi rapinosi che alluvionano gli alberi. Ma badate bene: non si tratta di una poesia ingenua, rozza, ma che porta tutto il peso, l'arguzia , e la retorica di una cultura classica che viene da lontano. Andrade e' un poeta che celebra come pochi un'integrazione tra l'uomo e la natura, tra il mondo dei simboli e quello degli alberi, da leggere, come suggeriva Claudel per i suoi versi, modulando la metrica sul ritmo del respiro, un ritmo in cui sembra battere, sommerso tamburo perduto nei meandri dell'inconscio dei popoli, il cuore piu' profondo del pianeta. Giorgio Celli | GAIA - la recensione, il consiglio. | Leggi di piu' su JORGE CARRERA ANDRADE (1903 - 1978) | Back |
Jorge Carrera Andrade a cura di Daniela Bellon StampaAlternativa,
2001 Yo
soy el poseedor de la llave del fuego ... Io sono il possessore della chiave del fuoco, Aire
de soledad, dios transparente Aria di solitudine, dio trasparente
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