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Intervista alla sociologa Melanie Joy

di Edgar Meyer

melanie-joyMelanie Joy è una psicologa sociale americana. Vive e lavora a Berlino. Ha ricevuto l’Ahimsa Award (con altre sette personalità, tra cui il Dalai Lama e Nelson Mandela) per il suo lavoro sulla nonviolenza. E’ autrice di numerose pubblicazioni, tra cui “Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche”, pubblicato in 17 lingue. Recentemente è venuta in Italia e Edgar Meyer, per la rivista Quattro Zampe, l’ha incontrata.

Per la maggior parte delle persone mangiare carne è naturale e normale perché “si è sempre fatto così”. Lei ha definito questa visione come “carnismo”. Cosa è il “carnismo”?
Il “carnismo” è il sistema di credenze invisibile che ci condiziona a mangiare certi animali. Spesso crediamo che solo vegani e vegetariani seguano un insieme di credenze ma l'unico motivo per cui possiamo mangiare maiali e non i cani, per esempio, è perché seguiamo un sistema di credenze. Dato che mangiare animali non è una necessità (il che è vero per milioni di persone oggi) allora è una scelta e le scelte derivano sempre da credenze. Le credenze o le convinzioni che guidano la nostra scelta di mangiare animali è però invisibile: perciò non ci rendiamo conto che abbiamo altre scelte o che stiamo facendo una scelta.

Ci può fare un esempio?
Probabilmente il modo migliore per comprendere il carnismo è attraverso un esercizio mentale: immagina di stare addentando un succulento hamburger e un tuo compagno di cena ti dica che quell'hamburger non è fatto con carne di manzo, ma di golden retriever. È molto probabile che ciò che hai appena pensato come cibo ora ti appaia come un animale morto, quello ti sembrava delizioso ora ti sembrerà disgustoso e invece di continuare a mangiare l’hamburger probabilmente vorrai buttarlo nella spazzatura e magari anche andare a protestare.
Il carnismo distorce le nostre percezioni degli animali che abbiamo imparato a classificare come commestibili, in modo che quando guardiamo alla loro carne, alle uova o ai latticini che vengono dai loro corpi vediamo del cibo piuttosto che un animale morto. Il carnismo ci condiziona a disconnettere i nostri pensieri e i nostri autentici sentimenti quando si tratta degli animali che abbiamo imparato a classificare come commestibili. E il carnismo esiste in tutto il mondo. Nonostante il tipo di specie consumata cambi di cultura in cultura, i membri di ogni cultura pensano alle loro proprie scelte come razionali, e a quelle delle altre culture come irrazionali e disgustose e spesso anche moralmente offensive.

maialino 287242001_2203669873116474_4254261192865465272_nLei dice, insomma, che il carnismo ci “addormenta” le coscienze
Quello che è veramente importante capire del carnismo è che va contro valori umani fondamentali, valori come la compassione, il prendersi cura degli altri, la giustizia o l'equità. Il carnismo ci impone di agire contro questi valori senza nemmeno rendercene conto, ci condiziona ad agire contro questi valori senza renderci pienamente conto di cosa stiamo facendo. In altri termini, il carnismo ci insegna come non pensare e non sentire. La maggior parte delle persone sarebbe profondamente offesa e contrariata nel contribuire a uccidere degli animali soprattutto causando sofferenze così intense e così completamente inutili. Tuttavia, la maggior parte di noi mangia animali. Così il carnismo, come altri sistemi oppressivi o violenti, ha bisogno di usare una serie di meccanismi psicologici di difesa, che distorcono la nostra percezione, in modo da disconnetterci dalla nostra naturale empatia verso quegli animali che abbiamo imparato a pensare a come commestibili.

Perché consideriamo la carne di cane diversa dalla carne di manzo?
Consideriamo la carne di cane diversa da quella di manzo non perché i cani siano molto diversi dalle mucche… I cani sono animali diversi dalle mucche, ma sono per alcuni aspetti anche molto simili: alle mucche come ai cani “importa” delle loro vite: sono senzienti, hanno la capacità di provare piacere e dolore, sviluppano amicizie e stringono legami con i loro cuccioli e con gli altri elementi di una mandria.
La differenza tra cani e mucche (o tra la carne di cane e quella di mucca) ha poco a che fare con gli animali stessi, mentre riguarda le percezioni di questi animali: abbiamo imparato a pensare le mucche come commestibili; quindi, le pensiamo in modo diverso e vediamo la loro carne in modo diverso, ci disconnettiamo da loro.

cover_melanie joy2022Nel libro sostiene che l’industria della carne è invisibile. Perché?
Ho accennato prima a questi meccanismi di difesa psicologica che ci disconnettono dalla nostra autenticità di pensieri e sentimenti, contribuendo così alle violenze sugli animali attraverso gli allevamenti, senza renderci conto di cosa stiamo facendo. Ecco un esempio di questi meccanismi di difesa: il numero degli animali di allevamento che vengono macellati in un solo giorno nel mondo è maggiore del totale delle persone uccise in tutte le guerre della storia dell’umanità. Eppure, non vediamo quasi mai un individuo che diventa il nostro cibo. Dove sono i miliardi di manzi allevati e macellati? Il modo principale con cui neghiamo il carnismo è mantenendolo invisibile: teniamo le vittime lontane dalla vista e quindi convenientemente fuori dalla pubblica coscienza. Manteniamo il sistema stesso invisibile per non nominarlo.
Il carnismo usa anche altre difese: per esempio il carnismo ci insegna a vedere gli animali allevati come “astrazioni”, cioè privi di qualsiasi propria individualità o personalità. Ci allontaniamo dalla nostra naturale empatia verso quegli individui che abbiamo imparato a classificare come “commestibili”.

Lei ha elaborato la “teoria delle 3 N della giustificazione” con la quale l’industria della carne convince i consumatori e la società: mangiare animali è normale, naturale e necessario. Ce ne parla?
Il carnismo è istituzionalizzato, il che significa che è abbracciato e sostenuto da tutti i maggiori Governi, dalle istituzioni sociali, dalla medicina, dal business e così via. Così quando studiamo la nutrizione, per esempio, in realtà studiamo la nutrizione carnistica e queste difese psicologiche (i meccanismi di cui ho parlato) sono interiorizzate, in modo da plasmare il modo in cui pensiamo e sentiamo sul mangiare animali. Essendo nati in un così diffuso sistema istituzionalizzato come il carnismo, inevitabilmente impariamo guardare il mondo attraverso la lente del sistema, interiorizziamo il carnismo e impariamo a essere sulla difensiva contro chiunque cerchi di sensibilizzarci sul problema carnismo o chi ci sfidi a pensarla in modo diverso sul mangiare animali. Spesso tutto questo si esprime attraverso stereotipi negativi sui vegani: sparando al messaggero eliminiamo il messaggio e le sue serie implicazioni. Impariamo così a credere in ciò che io chiamo le tre punte della giustificazione: mangiare animali è normale, naturale e necessario. Le stesse argomentazioni che sono state utilizzate in tutta la storia dell’umanità per giustificare pratiche violente, dal dominio maschile alla supremazia eterosessuale.

Lei parla anche di “vittime umane” dell’industria della carne
Sì. L’industria della carne genera dei danni collaterali le cui vittime –oltre 300 milioni di persone– subiscono un trattamento non migliore rispetto a quello riservato agli animali allevati e poi macellati. Chi lavora all’interno di allevamenti intensivi e mattatoi è sottoposto a gesti meccanici e ripetitivi, alienazione, contatto costante con una violenza aberrante. Partecipa a una vera e propria catena di smontaggio, nella quale i protagonisti sono esseri senzienti privati della propria soggettività per diventare “pezzi” di una produzione continua e sistematica. Diversi studi hanno analizzato le ripercussioni psicologiche che questo tipo di lavoro ha sulle persone coinvolte. La School of Psychology dell’Università del Kent ha dimostrato che esiste una connessione tra disturbi mentali come ansia e depressione, e il lavoro nei macelli. Secondo gli esperti, i risultati sono inequivocabili: tra coloro che lavorano nell’industria della carne e hanno a che fare con la gestione e l’uccisione degli animali si riscontra non solo una prevalenza di problemi di salute mentale, ma anche una indubbia inclinazione alla violenza. Un altro studio delle Università di Boston e Washington ha analizzato l’incidenza di un grave disturbo psicologico su un campione di lavoratori di un macello degli Stati Uniti. La prevalenza di questa problematica tra i lavoratori era maggiore rispetto al resto della popolazione.

(Qui l'articolo - inchiesta di Edgar Meyer per la rivista Quattro Zampe): qz ott 2022 intervista a melanie joy.pdf
Ecco un estratto del libro di Melanie Joy, che riporta una dichiarazione di un operaio di un allevamento: “Ho sfogato il disagio e la frustrazione del mio lavoro sugli animali. C’era un maiale vivo nel recinto, non aveva fatto niente di male, non stava neppure correndo. Era solo vivo. Ho preso un pezzo di tubo lungo un metro e l’ho picchiato a morte, gli ho schiacciato il cranio. […] è stato come se, una volta che ho iniziato a colpire il maiale, non potessi più fermarmi. E quando finalmente mi sono fermato, avevo consumato tutta questa energia e frustrazione, e ho pensato “In nome di Dio, che cosa ho fatto?

E poi, lei sostiene, ci sono altre vittime del “sistema allevamenti”
I danni dell’industria della carne ricadono pure su chi vive nei pressi degli allevamenti e dei macelli, e anche sui consumatori. Da una parte, vivere nelle vicinanze di queste strutture implica inevitabilmente, rischiare il contatto con rifiuti potenzialmente pericolosi, inquinamento dell’aria e dell’acqua, una gestione spesso arbitraria dei liquami e con le conseguenti malattie zoonotiche che possono trasmettersi dagli animali infetti all’uomo. Queste persone spesso perdono il diritto ad aria pulita, acqua pura e una vita libera dal fetore.
D’altra parte è ormai risaputo come il consumo di carne sia pericoloso per la salute: nel 2015, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato le carni lavorate come “cancerogeno per l’uomo” (al pari del fumo di sigaretta), mentre il consumo di carne rossa è stato classificato come “probabilmente” cancerogeno per l’uomo.
È arrivato il momento di sovvertire lo status quo: la vita di miliardi di esseri viventi dipende dalla nostra capacità di fare la connessione e dire basta a queste aberrazioni. Lo dobbiamo agli animali negli allevamenti, a noi stessi e al Pianeta che ci ospita.

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