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giorgionebbiadi Giorgio Nebbia

Una persona per vivere ha bisogno di cibo costituito da sostanze chimiche che vengono in parte bruciate all’interno dell’organismo, liberando l’energia necessaria per il lavoro fisico, muscolare e per le funzioni vitali, e che in parte servono a “rimpiazzare” le proteine che vengono consumate durante il lavoro biologico.

Il fabbisogno alimentare giornaliero è soddisfatto con circa 3000 chilocalorie e circa 70 grammi di proteine al giorno. Inoltre occorrono altre sostanze come sali minerali (almeno circa 5 grammi di cloruro sodico, il sale comune, al giorno) e poi vitamine, ormoni e alcune sostanze minori. E poi occorre acqua, almeno circa 2 litri al giorno con un contenuto salino che non deve superare 1 grammo di sali totali per litro. Più o meno, per persona, 500-600 chili di carboidrati e grassi, 25 chili di proteine, 2 chili di sale e 700 litri di acqua potabile all’anno.

La grande esposizione universale EXPO 2015 che sarà aperta a Milano da maggio a ottobre dell’anno venturo ha scelto come tema: ”Nutrire il pianeta. Energia per la vita”. Un bel tema perché il problema di come nutrire una popolazione terrestre di oltre sette miliardi di persone, che aumenteranno, nei prossimi decenni, di circa 50-60 milioni all’anno, è il più grande con cui dovranno confrontarsi governanti e scienziati per molti decenni futuri. “Dove troveremo tutto il pane/per sfamare tanta gente?”, sono i versi di una famosa canzone scout che riassume la dimensione di tale problema.

Se si somma il contenuto energetico e i chili di proteine presenti in tutti i prodotti alimentari vegetali (cereali, semi oleosi, grassi, verdure, zucchero, eccetera) e animali (latte, carne, uova, eccetera) forniti dall’agricoltura e dalla zootecnia del pianeta, e si dividono questi valori per il numero di terrestri, si vede che ogni persona avrebbe a disposizione circa il doppio del fabbisogno per vivere. Il cibo arriva sulla tavola dopo un lungo cammino che comincia nei campi dove le piante elaborano, con l’energia solare, semi, tuberi, frutti, verdure appositamente coltivati a fini alimentari.

Una parte degli alimenti vegetali viene destinata all’alimentazione degli animali da allevamento, oltre un miliardo di bovini, suini, pollame che trasformano i prodotti vegetali in carne e latte e uova, contenenti proteine pregiate dotate di un valore nutritivo maggiore di quello delle proteine di origine vegetale. Con forti perdite, però, perché occorrono da 5 a 10 unità di valore alimentare vegetale per produrre appena una unità di valore alimentare animale pregiato. Inoltre in gran parte i prodotti dell’agricoltura e della zootecnia vengono trasportati, spesso a distanza di migliaia di chilometri, e poi trasformati, conservati, inscatolati dall’industria agroalimentare con perdite di sostanze preziose dal punto di vista nutritivo.

Purtroppo, però, tutte le ricchezze alimentari offerte dalla natura sono disponibili in maniera molto disuguale fra i diversi paesi e popoli. A circa un miliardo di terrestri arriva una frazione insufficiente per vivere una vita sana o addirittura per sopravvivere, perché una parte dei prodotti agricoli locali va perduta per attacco di parassiti e mancanza di tecniche di conservazione e una parte viene dirottata, dai grandi proprietari terrieri, verso i più redditizi allevamenti zootecnici o verso la produzione di carburanti “ecologici”; hanno ragione coloro che sostengono che il mais viene tolto di bocca ai poveri affamati per far correre i “suv” dei paesi ricchi.

Nello stesso tempo nei paesi industrializzati e ricchi, con circa due miliardi di abitanti, molti si ammalano perché mangiano troppo e di tutto il cibo che entra nelle famiglie, nei ristoranti, nelle mense delle comunità, circa un quarto va perduto come rifiuti nelle discariche. Sono vissuto in un tempo in cui si raccontava ai bambini l’ingenua favoletta di Gesù che scendeva da cavallo per raccogliere una briciola di pane caduta per terra. Oggi la massa di perdite e di sprechi del ciclo alimentare ammonta nel mondo ad alcuni miliardi di tonnellate all’anno, uno scandalo. Un anno fa, il 9 dicembre 2013, il Papa Francesco ha invitato le istituzioni e ciascuno di noi “a dare voce a tutte le persone che soffrono silenziosamente la fame, affinché questa voce diventi un ruggito in grado si scuotere il mondo”. Un ruggito, capite?

E ha continuato invitando a “diventare più consapevoli nelle nostre scelte alimentari, che spesso comportano lo spreco di cibo e un cattivo uso delle risorse a nostra disposizione”. Una denuncia che ha continuato anche tutto quest’anno, anche nell’intervento, pochi giorni fa, alla conferenza internazionale sulla nutrizione, spiegando che “la lotta contro la fame e la denutrizione viene ostacolata dalla priorità del mercato e dalla preminenza del guadagno che hanno ridotto il cibo ad una merce qualsiasi soggetta a speculazioni anche finanziarie”.

C’è da augurarsi che la esposizione di Milano contribuisca a far conoscere nuove strade con cui “nutrire il pianeta”, e non solo la parte ricca e opulenta, a incoraggiare una agricoltura basata sulla solidarietà e nuovi rapporti economici internazionali, a indicare come è possibile usare l’”energia per la vita”. Un ruolo importante avrebbero anche le Università e una ricerca scientifica orientata a riconoscere dove si trovano gli sprechi, come è possibile trasformare lo scarto in ricchezza, come è possibile trarre cibo di buon valore alimentare da sottoprodotti o da piante finora trascurate, come sviluppare una “tecnologia della carità”.

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