Cioccolato.

Oltre alla beffa, anche il danno. Cosi' si puo' riassumere il contenuto della nuova direttiva sul cacao e la produzione di cioccolato in vigore in Europa nel marzo 2000. e' stata autorizzata l'aggiunta del 5% di "materia grassa vegetale", diversa dal burro di cacao, nella produzione del cioccolato. Per produrre il cioccolato, nell'Unione Europea, si usavano normalmente il 35% di materia secca di cacao e circa il 20% di burro di cacao. Cio' significa che il cioccolato che mangeremo sara' fatto piu' con additivi vegetali che con cacao, con conseguenze immediate sull'andamento delle esportazioni di cacao di molti paesi africani e sulla qualita' finale del prodotto che noi, consumatori europei, compriamo.

La direttiva e' una colpo durissimo alle economie di molti paesi in via di sviluppo, soprattutto africani: rappresenta infatti una riduzione di almeno 120mila tonnellate della domanda mondiale di cacao. Un incubo per il futuro di intere nazioni, come la Costa d'Avorio, il Ghana, il Camerun, solo per parlare dei principali stati produttori. La decisione e' inaccettabile non solo per i nefandi effetti che avra' su molti paesi africani, ma e' anche un raggiro per i consumatori, che si troveranno di fronte a un cioccolato meno vero e piu' insapore: il burro di karite', l'olio di palma, l'illipe' o, ancora peggio, i grassi transgenici non possono degnamente sostituire il cacao.

Per prima cosa, mettiamo a posto i numeri: quel 5% di "altra cosa" che e' stato autorizzato, in realta' e' uno specchietto delle allodole. Si', perche' la percentuale e' riferita alla sostituzione di quel 19% di burro di cacao che oggi si utilizza: dunque, la verita' e' che la percentuale finale di sostituzione sara' compresa tra il 20% ed il 25% del prodotto finale. Un altro importante problema legato alla direttiva e' che questa percentuale non puo' essere controllata esattamente, perche' i grassi vegetali contengono enzimi estremamente difficili da individuare, facilmente spacciabili per burro di cacao. Dunque, nessuno puo' assicurare che la sostituzione del burro di cacao non avverra' in quantita' ancora piu' forti da quelle autorizzate dalla proposta di modifica della direttiva.

E' stato fatto un discutibile favore alle multinazionali europee ed americane produttrici di cacao; e' la conferma che lo scriteriato metodo per inseguire il "mitico" mercato comune europeo e' la "riduzione al minimo comun denominatore", la standardizzazione in basso, l'omogeneizzazione verso il peggio, l'appiattimento della qualita'. Fin dagli anni '50 Danimarca, Irlanda e Regno Unito permettevano l'utilizzazione di prodotti alimentari diversi dal burro di cacao nel cioccolato. La direttiva europea del '73 li esentava percio' dal conformarsi alle tradizioni alimentari degli altri stati membri europei, che invece fissavano ad una soglia minima del 19% la quantita' di burro di cacao da usare nel cioccolato ed i suoi derivati. Con adesioni successive (1981, 1986 e 1995), a quei tre paesi, entrati in Europa nel '73, si sono aggiunti anche Finlandia, Austria, Portogallo e Svezia, abituati ad avere un cioccolato di minor qualita', creando cosi' una disparita' nel mercato interno tra chi, sotto il nome ufficiale di cioccolato, usava piu' o meno quantita' di burro di cacao.

Che fare? Spingere per migliorare la qualita'?

Macche'. Uniformare al peggio il mercato europeo del cioccolato! Ecco autorizzato l'uso del 5% di grassi vegetali in piu' nella fabbricazione del dolcissimo prodotto. Perche' e' stata presa quella decisione? Perche', invece, Regno Unito, Danimarca, Svezia e compagnia non sono stati invitati loro ad uniformarsi ad un utilizzo superiore di burro di cacao? Perche' abbiamo dovuto noi adottare un loro costume alimentare e non viceversa?

Presto detto: perche' cosi' le industrie europee che fabbricano cioccolato risparmieranno almeno 200 milioni di dollari in acquisto di cacao. Di che fare felici la Nestle', la Mars, la Philip Morris e la Cadbury, ovvero le quattro multinazionali alimentari che praticamente detengono il controllo mondiale del cioccolato, e che ci rifileranno un prodotto che in realta' sara' molto diverso da quello attuale.

Le "fantastiche quattro" hanno esercitato pressioni a non finire sulla Commissione Europea affinche' decidesse nel senso a loro piu' conveniente.

Le multinazionali ridono, i paesi poveri, e con loro molti piccoli coltivatori, piangono. Drammatiche le conseguenze sulle esportazioni dei paesi produttori, come Costa d'Avorio, Ghana, Camerun, Nigeria, Togo e Papa Nuova Guinea. I governi di questi paesi prevedono un crollo speculativo dei prezzi del cacao a causa della sua temporanea sovrabbondanza iniziale, proprio per la diminuzione della domanda mondiale da parte delle industrie produttrici di cioccolato. Una speculazione finanziaria che, ancora una volta, fara' il gioco delle multinazionali del settore. Eppoi c'e' un aspetto quantomeno ridicolo, per non dire grave: per ogni diecimila tonnellate di perdite nelle esportazioni di cacao da parte dei Paesi produttori (che sono quelli citati), la Commissione Europea dovra' sborsare un milione di Euro in nome degli accordi STABEX contenuti nella Quarta Convenzione di Lome': lo STABEX e' un meccanismo in base al quale l'Europa si impegna a dare soldi ai Paesi firmatari della Lome' IV se crollano i loro proventi da esportazione di alcune materie prime, tra cui c'e' il cacao. La direttiva ha cosi' il grave effetto di peggiorare la qualita' del cioccolato, di ridurre drasticamente le esportazioni africane di cacao, di colpire direttamente centinaia di migliaia di coltivatori come quelle 600/700.000 famiglie che in Ghana e Costa d'Avorio vivono dei proventi di cacao, di costare al bilancio comunitario (dunque a tutti noi) tra i 150 ed i 200 miliardi di lire. Un piccolo capolavoro.

La Commissione Europea ha cercato di indorare l'amarissima pillola nascondendosi dietro una foglia di fico: e cioe' che i sostituti del cacao utilizzati sarebbero comunque di provenienza africana, e che percio' i disastri per loro sono limitati. Ma non fateci ridere! I sostituti del burro di cacao sono tre: i "Cocoa Butter Equivalents CBE" (olio di palma, illipe', karite' o kokum), i "Cocoa Butter Replacers CBR" (olio di soia, olio di semi di cotone, olio di palma non-laurico) e i "Cocoa Butter Substitutes CBS" (olio di cocco).

I grassi vegetali possono provenire da piante manipolate geneticamente, i cui contratti di coltivazione riducono i contadini allo stato di servi della gleba, a favore delle multinazionali detentrici dei brevetti sulle piante transgeniche. Inoltre, non si conosce l'impatto sulla salute umana e sull'ambiente delle piante provenienti dall'orto di Frankenstein. L'unico vero sostituto in grado di coinvolgere i paesi poveri sarebbe il karite'. Ma il burro di karite', pagato all'origine prezzi ridicoli (nel 1993, le importazioni di karite' in tutta la Comunita' provenienti dai paesi di Africa, Caraibi e Pacifico sono ammontate a sole 144 tonnellate, pari alla risibile cifra di neanche cinquanta milioni di lire! Nel 1994, il Benin ha esportato karite' per la cifra di venti milioni di lire!), viene poi negoziato nei mercati borsistici di Francia, Regno Unito, Danimarca e Giappone, con prezzi decuplicati o centuplicati, a seconda della spinta speculativa del momento. Eventuali esportazioni di karite', inoltre, non farebbero il bene dei paesi poveri, perche' le uniche industrie di trasformazione alimentari di quel prodotto hanno sede in Giappone, Regno Unito, Olanda, Danimarca e Svezia. Ancora multinazionali, come la Unilever, la Karlshamas, la Van De Moortele, la Aarhus e la Noble&Therl. Per quanto riguarda l'olio di palma, le importazioni nel 1994 nella Comunita' sono ammontate a circa 1.7 milioni di tonnellate, pari a novecento miliardi di lire: importazioni pero' che provengono dal Sud Est Asiatico.

Lo stesso documento interno riservato della Commissione, ammette a pagina sette, che tali sostituti "sono ristretti ad alcune compagnie europee o multinazionali" euro-americane, e che la sostituzione del 5% del burro di cacao "avra' un impatto negativo molto forte sul numero di persone impiegate nella catena di produzione del cacao": un modo elegante per dire che nei paesi in via di sviluppo ci saranno numerosi licenziamenti e molte industrie produttive andranno in rovina.

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